LASCIARE IL MEDITERRANEO PASSANDO DA GIBILTERRA

LA SENTINELLA DEL MEDITERRANEO C'è un luogo nel mondo che fin dalla notte dei tempi ha suscitato meravigla e paura, fascino e terrore. Nel corso dei secoli queste emozioni non sono cambiate ed il cuore di ogni navigatore che passa di lì, batte più forte. Stiamo parlando di Gibilterra e dello stretto che separa in modo ineccepibile il passaggio dal piccolo e chiuso Mediterraneo, allo sconfinato Oceano Atlantico. Gli antichi avevano battezzato questo stretto braccio di mare che divide il continente europeo da quello africano 'colonne d'Ercole', e arrivando da Est non si può che condividere questa definizione. Fin fa lontano si vedono sorgere dal mare due sagome scure che interrompono la piatta linea dell'orizzonte. Sono due montagne che sembrano unite tra loro invece, a mano a mano che ci si avvicina, si separano lasciando libero il passaggio delle acque e delle imbarcazioni. La più inquietante e affascinante delle due è senza dubbio la famosa rocca di Gibilterra che veglia imponente sullo stretto. Avevamo lasciato il moderno marina spagnolo di Benalmadena al mattino presto per affrontare la nostra ultima tappa mediterranea. Un vento generoso proveniente da est spingeva JANCRIS verso la mitica meta e a mano a mano che ci avvicinavamo le onde di poppa calavano ed il vento diminuiva fino a spegnersi proprio quando Nicoletta avvistò a prua la sagoma della rocca. Rullato il fiocco proseguimmo a motore con la randa cazzata al centro anche se il mare era diventato piatto e senza increspature. Ci avvicinammo alla costa per uscire dal canale virtuale dedicato alla navigazione commerciale in entrata ed uscita dello stretto. Molte navi mercantili di tutte le domensioni scivolavano sulle acque verdastre senza alzare a poppa fastidiose onde. Il cielo si stava imbonciado rapidamente e la possente rocca aveva la vetta nascosta da bianche e dense nubi. Sfilammo accanto a enormi navi commerciali che erano ancorate in apparente disordine fuori dall'ampia baia di Gibilterra e davanti a punta Europa, estrema propaggine del nostro continente protesa verso l'Africa. Scorgemmo la bianca moschea che era riportata sul portolano come punto cospiquo e poi doppiammo il capo che ospita il faro dipinto di bianco e rosso. Seguendo ad un paio di centinaia di metri al largo la conformazione della costa, virammo verso nord lasciando lo stretto per entrare nella grande baia che ospita vari porti spagnoli come quello di Algeciras e naturalmente la nostra meta, Gibilterra. La cittadina si espandeva nella breve pianura che dalla base dell'impervia rocca sprofonda nel mare. Alti palazzi dalle forme anonime occupavano ogni spazio e ad una prima occhiata ci parve poco invitante e interessante. Dietro basse dighe alcuni moli di cemento ospitavano imbarcazioni da lavoro mentre altri, più protetti, custodivano Yacht a vela e a motore. Proseguendo verso l'interno dell'ampia baia scorgemmo le prime imbarcazioni all'ancora davanti alla piccola pista d'atterraggio dell'aeroporto di Gibilterra. Una volta entrati nell'insenatura che termina con i pontili del marina Bay, gettammo l'ancora e rimanemmo a prua ad osservare la rocciosa montagna con la cima sempre invisibile a causa delle nubi. Una fine pioggia ci obbligò a trovare riparo nel pozzetto dove continuammo a guardarci intorno affascinati dall'atmosfera che aleggiava. C'erano una trentina di barche a vela ancorate intorno a noi e le bandiere che sventolavano a poppa rappresentavano paesi di mezzo mondo. A terra, i pontili del marina erano tutti occupati da imbarcazioni e non c'era un posto libero per noi. Tutto sommato era meglio così, lungo la costa spgnola avevamo sempre ormeggiato nei marina a causa dell'assenza di ridossi naturali dove ancorare per la notte. A noi piace rimanere all'ancora in baia, 'respiriamo meglio', e solitamente si gode un panorama decisamente migliore ripetto a quello che si può osservare attraccati ad un pontile di cemento. Cielo grigio, piogerellina fitta, assenza di vento, ci sembrava di aver abbandonato l'estate e il soleggiato Mediterraneo prima del tempo. Appena avvistata la rocca era infatti cambiata la metereologia e sembrava di essere all'interno di un porto inglese più che nel mare nostrum. Nicoletta risalì in pozzetto con una lattina di birra fredda e due bicchieri per brindare al nostro arrivo a Gibilterra. Sorseggiando l'aromatico liquido biondo, continuammo a osservare il mondo che circondava JANCRIS. Notammo che tutte le imbarcazioni vicine avevano in coperta almeno quattro capienti taniche che contenevano gasolio, in vista di affrontare le lunghe navigazioni oceaniche, pensammo. I generatori eolici, immobili sui loro supporti, erano montati su tutte le barche che vedevamo. Una pace assoluta regnava in quel silente specchio di mare, e le gocce che cadevano dal cielo sul nostro tendalino, facevano un rumore ritmico che contribuiva a rendere quel momento assolutamente rilassante e sonnolento. Il Mediterraneo era finito,a poppa. Avanti a noi c'era l'oceano con gli alisei, le lunghe onde e tante miglia da navigare. Gibilterra, invece, rappresentava il limbo, quel territorio neutrale dove ricordare le esperienze e gli amici mediterranei e sognare navigazioni oceaniche e luoghi esotici. La pioggia cessò verso l'imbrunire mentre il cielo rimase plubeo. Dopo tanto tempo indossammo la giacca della cerata, e andammo a poppa per calare il tender che era fissato saldamente sulle gruette in acciaio inox lucide come specchi. La nostra prima visita a terra fu al molo nord, davanti agli uffici del marina bay, dove si trovava l'ufficio immigrazione. Espletammo le semplici formalità d'ingresso nel Paese e a piedi andammo al vicino molo che ospitava le pompe del carbutante. I serbatoi di JANCRIS erano quasi a secco poichè attendevamo da settimane di giungere a Gibilterra dove il gasolio costava meno della metà rispetto alla Spagna. Ci accordammo con il gestore della stazione di servizio. Il giorno dopo alle dieci del mattino saremmo andati ad effettuare il pieno e, cosa inusuale, avremmo potuto pagare con la carta di credito. Risalimmo sul tender che era ormai buio. Riprese a piovere leggermente e decidemmo di rientrare in barca. Le luci della città erano riflesse dal mare fermo come una lastra d'acciaio ed il gommone legato a poppa riposava placidamente. Quella sera cenammo in dinette rinunciando al piacere della vista dal pozzetto a causa della pioggia. Al mattino, il cielo di piombo e la mancanza di vento, lasciavano presagire che la giornata sarebbe stata uguale alla precedente. Dopo aver effettuato il pieno di gasolio, tornammo all'ancoraggio. Con il gommone scendemmo a terra e andammo a passeggiare nell'isola pedonale del vicino centro storico e poi raggiungemmo le rovine del castello. La passeggiata fu molto piacevole, l'assenza di traffico automobilistico e i vecchi palazzi che trasudavano storie di pescatori e di battaglie per conquistare quell'angolo di terra così strategicamente importante, cancellarono la nostra prima impressione negativa riguardo quella città. Ai lati della strada centrale moltissimi negozi vendevano articoli di elettronica, sopratutto macchine fotografiche e videocamere digitali. Con sorpresa constatammo che i prezzi non erano affatto così convenienti rispetto all'Italia come ci aspettavamo. Prima di rientrare a bordo decidemmo di fare anche una capatina al famoso negozio di forniture nautiche Sheppards, che si trovava poco lontano da nostro tender. Anche quì i prezzi non erano affatto interessanti così comprammo solanto la bandiera di cortesia del Marocco che sarebbe stata la nostra tappa successiva. Mentre rientravamo in barca ci accorgemmo che entrava un'onda lunga di risacca in baia. Osservando più attentamente le imbarcazioni ancorate, notammo che alcune di loro, le più esterne, avevano iniziato a rollare. Il barometro in ottone attaccato nella zona carteggio, indicava una repentina diminuzione della pressione mentre l'onda di risacca con il passare delle ore si faceva sempre più alta e rendeva scomoda la vita a bordo. La rocca era per metà avvolta nelle nubi sebbene una leggera brezza iniziava a provenire da occidente. Prima di sera decidemmo di cambiare ormeggio e ci spostammo all'interno del vicinissimo frangiflutti che separa le acque dell'ancoraggio di Gibilterra con quelle della cittadina spagnola La Linea. L'ancoraggio su quattro metri di fondo, nelle tranquille acque protette dalla diga, era confortevole e fummo seguiti dopo breve tempo da un'altra decina di imbarcazioni. Dopo il tramonto iniziò a soffiare un vento teso da ovest, accompagnato da forti piogge. Di tanto in tanto uscivo in pozzetto per osservare la situazione dell'ancoraggio e non potevo fare a meno di notare come rollavano gli alberi delle barche ancorate esternamente. La notte comunque non trascorse molto serenamente a causa del vento forte che faceva frustare gli alberi dalle drizze. Fino a sessanta nodi di vento segnò lo strumento. Grazie al fondale buon tenitore, all'ancora Bruce da trenta kg., e ai settanta metri di catena sul fondo, Jancris non si mosse di un metro. Danzava spinta dal vento, ma nel suo ventre protettivo, ci sentivamo sicuri e per nulla preoccupati. Dopo alcune violente raffiche mentre il sole faceva la sua comparsa su un cielo terso, il vento diminuì e con il passare delle ore si stabilizzò intorno ai quindici nodi. Le onde frangevano ancora sul basso frangiflutti di pietra ed il vento faceva volare la bianca schiuma per alcuni metri. Finalmente il sole rendeva giustizia a quel luogo straordinario risvegliandone i colori del mare e della terra. La rocca, senza più veli, svettava imponente sopra di noi dominando lo scenario circostante. Noi, osservandola, immaginavamo le dispettose scimmie che popolano la sua vetta e le numerose grotte che ne hanno violato le viscere. Un'imbarcazione calò l'ancora vicino a noi proprio in quel momento costringendoci a distogliere lo sguardo dalla vetta della montagna per osservare il nostro nuovo vicino. Era una barca a vela di circa quattordici metri color crema. A bordo un'anziana coppia ci salutò frettolosamente e tornarono a concentrarsi sull'ormeggio. Una volta sicuri che l'ancoraggio fosse perfetto, si soffermarono con lo sguardo rivolto verso la cime della rocca e si abbracciarono stringendosi forte. Erano anche loro felici di aver raggiunto il limbo, il mitico luogo di mezzo tra Mediterraneo e Oceano. Alfredo Giacon

Per informazioni: jancrisjancris@hotmail.com